Orto Sinergico

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martedì 6 novembre 2012

Facciamo da soli !!!!

Come dice Gesualdi con il suo libro anche Noi tentiamo di FARE DA SOLI.

Se parli con le Persone della Crisi e gli spieghi perchè è scoppiata, perchè non girano più soldi, perchè la crisi finanziaria è solo un sintomo ma non la causa, che continuando sulla strada della crescita le condizioni economiche, sociali ed ambientali continueranno a peggiorare e che i tecnici stanno solo peggiorando la situazione, che il problema è il debito privato e non quello pubblico, che le banche centrali sono il problema e non la soluzione, che l'apertura dei mercati con la globalizzazione senza regole fa chiudere le nostre aziende, che le frasi "l'euro è irreversibile" , "ce lo chiede l'Europa", "fiscal compact", "spending review" sono delle cavolate per confondere la gente ignorante  cade il silenzio e l'apatia. 

La gente è smarrita e impaurita, è talmente dipendente dal sistema che non riesce ad immaginarsi un futuro diverso. 

Mandare a casa i politici e i "finti tecnici" con altri nuovi onesti, puliti, non contaminati non basterà a tornare ai livelli di "sviluppo" precedenti.

Il Pianeta sul quale viviamo non è infinito, ci sono dei limiti fisici all'utilizzo delle risorse e più il tempo passa l'inquinamento atmosferico peggiora, produrre e consumare diventa sempre più costoso ed antieconomico. 

Anche un lento/veloce impoverimento di larga parte di fasce di popolazione che scenderanno in piazza a protestare non invertirà la rotta della nave della crescita sulla quale siamo saliti tanti anni fa credendo che fosse per sempre.

Occorre prepararsi ad un "Salto di Paradigma" insieme, con più persone vicine intorno a noi, perchè da soli non ci salviamo.


La Rivoluzione Dolce della Transizione può rappresentare quel PIANO B che è indispensabile avere come Comunità resiliente per guardare al futuro con più serenità senza aspettare la manna dal cielo.

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E Francuccio Gesualdi disse: "Facciamo da soli"... 

Il nuovo libro del presidente del Centro Nuovo Modello di Sviluppo di Vecchiano edito da altraeconomia. La crisi mondiale e le vie d'uscita a partire dalla fondazione di un'economia "pubblica", locale e sostenibile che rinunci alla crescita a tutti i costi. Gesualdi: "Dobbiamo liberarci dalla schiavitù dell'inutile e dalla schiavitù del possesso"

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L’ultima riflessione di Francesco Gesualdi, "Facciamo da soli" (altraeconomia), "riavvolge il nastro", come è stato scritto, rileggendo i passaggi salienti dell'emersione della crisi attuale. Poi, la proposta concreta: la fondazione di un’economia “pubblica”, per tutti e non per pochi, locale e sostenibile che rinunci alla crescita a tutti i costi e riconverta finalmente produzione e consumi.
La domanda è: quali i passaggi? Come sostituire il denaro, la sua funzione? E' sufficiente una nuova coesione sociale o la mutazione deve essere ancora più profonda?
Ne abbiamo parlato con il presidente del Centro Nuovo Modello di Sviluppo di Vecchiano e autore del saggio.
Cosa si intende per economia "del paradiso", ovvero quella che tu citi nel tuo ultimo lavoro? Quali sono le premesse necessarie perché sia possibile oggi una sua fondazione?
Uso il termine "economia del paradiso" non per riferirmi a un mondo idilliaco dove tutti si vogliono bene, ma più banalmente a un mondo più intelligente dove tutti hanno capito che si vive meglio perseguendo il bene di tutti piuttosto che il tornaconto personale. Per la semplice ragione che sfruttamento, disagio, esclusione generano terrorismo, violenza, microcriminalità che rendono la nostra vita un inferno. Più ricchi, ma più impauriti, sempre più asserragliati nelle nostre prigioni d'oro, è la condizione che stiamo vivendo per scoprire che la ricchezza costruita sull'iniquità non porta alla felicità, ma al terrore.
Il paradiso a cui penso è l'economia del benvivere come ci propongono le popolazioni indios là sulle Ande. Un'economia che non si concentra sul PIL, ma sulle persone, sulla loro salute fisica, psichica, sociale. Produrre quanto basta per consentire a tutti di vivere dignitosamente nel rispetto dell'equità, dell'ambiente e delle generazioni che verranno: questo è il progetto che dobbiamo inseguire. Un progetto possibile e non più rinviabile perché i morsi della crisi sociale e ambientale stanno penetrando sempre più in profondità.
Per realizzarlo non è necessaria la totale demolizione dell'esistente ma una sua profonda ristrutturazione sul piano tecnologico, lavorativo, produttivo, organizzativo. Schematicamente bisognerà riconvertire la produzione al sostenibile e al locale, riconvertire e limitare i consumi, ridurre i rifiuti, ridurre il lavoro salariato, dare più spazio al lavoro non pagato personale e comunitario, rifondare l'economia pubblica in un'ottica di economia di comunità. Fra le misure più urgenti un'altra uscita dal debito pubblico, non al servizio dei signori della finanza, ma dei cittadini, dei nostri diritti, della nostra sicurezza sociale, dei nostri beni comuni. Perchè il debito è diventato l'ultima arma per demolire ogni tutela sociale e scipparci ogni residuo di bene collettivo.
A tuo avviso - in sintesi - qual è stata la genesi della crisi che stiamo vivendo? E Quali sono le vie d'uscita? Il locale, il pubblico, il sostenibile hanno ancora forza per reagire all'aggressione del sistema economico che regola attualmente i nostri governi?
E' dimostrato che, benché si sia manifestata sottoforma di crisi finanziaria, la miccia che ha innescatto la bomba è un sottoprodotto della globalizzazione. Il suo nome è "ingiusta distribuzione" della ricchezza, la stessa che ha provocato l'esplosione della finanza e del debito come tentativi estremi per tenere in piedi un sistema ormai non più capace di chiudere il cerchio fra produzione e consumi. Un debito gestito da banche fameliche che nella braomosia dell'avidità si sono cacciate in una trappola infernale che le ha portate al collasso. Nel 2008 i fallimenti bancari si contavano a decine sulle due sponde dell'Atlantico e se sono stati evitati è stato solo grazie all'intervento dei governi, che hanno salvato le banche ma hanno inguaiato i loro popoli con debiti pubblici stratosferici. E oggi che la situazione è invertita le banche non conoscono pietà: assieme agli altri compari della finanza si avventano sui governi con ogni forma di speculazione per mangiarsi le loro budella. Il peggio è che la politica tradizionale, sia quella di destra che di sinistra è dalla loro parte, per questo la situazione è disperata. L'unica speranza è la gente, che recuperi consapevolezza e trovi la forza per resistere, per non fare la fine dei paesi del Sud del mondo, ridotti sul lastrico per ingrassare banche, assicurazioni e fondi d'investimento. Per fortuna la storia riserva sempre delle sorprese e anche quando tutto sembra perduto arriva quell'elemento di novità che rovescia le sorti. Può essere la Grecia? L'ira degli indignati? L'esasperazione dei disoccupati? Non si sa. Ma qualcosa potrebbe succedere e quel giorno è bene farsi trovare pronti con idee e proposte. Per questo abbiamo un bisogno tremendo di irriducibili del pensiero e dell'utopia.
Quando si parla di aziende, l'elemento che in modo automatico viene evocato per comporre una sorta di immediato binomio è "profitto", oppure "bilancio". Ma a quale profitto e a quale bilancio si deve guardare per realizzare quella forma di economia solidale di cui parla il tuo ultimo libro?
Il nuovo binomio deve essere sostenibilità e bene comune. Un binomio inscindibile, tremendamente compenetrato come fosse un unico corpo.
Oggi l'obiettivo delle aziende è spendere meno soldi possibile. Domani dovranno chiedersi come fare per ottenere prodotti col minor impiego di risorse e la minor produzione di rifiuti possibile. I loro bilanci non dovranno essere solo economici, ma soprattutto idrici, energetici, ambientali. Più che di ragionieri dovranno dotarsi di esperti che sappiano calcolare i consumi di risorse, le emissioni di veleni, non solo durante la fase produttiva di loro diretta pertinenza, ma durante l'intero arco di vita del prodotto, da quando era ancora sotto forma di minerali nelle viscere della terra, fino a quando diventa rifiuto. L'ufficio per l'eco-efficienza dovrà essere il comparto più sviluppato di ogni singola azienda, sapendo che le strategie della sostenibilità produttiva passano per quattro vie: risparmio, rinnovabilità, recupero, locale.
E per quanto concerne invece i consumi? Quali sono le mutazioni che devono intervenire? E che margini di praticabilità hanno nel nostro presente?
Due i passaggi fondamentali: liberarci dalla schiavitù dell'inutile e dalla schiavitù del possesso. La prima schiavitù è fin troppo evidente. Mangiamo troppo e buttiamo via troppi avanzi. Sprechiamo l'acqua e usiamo l'automobile anche quando potremmo andare a piedi o in bicicletta. Cambiamo telefonino ad ogni novità tecnologica. E' urgente ritrovare il senso della misura e lo potremo fare se recuperiamo sovranità, ossia capacità di decidere noi cosa comprare. Per questo dobbiamo limitare la pubblicità con regole che proteggano i nostri bambini e la nostra tranquillità. Ma soprattutto con tasse che ne scoraggino l'uso. Venendo alla seconda schiavitù, quella verso il possesso, è importante liberarsene per evitare lo spreco di materiali in beni sottoutilizzati. Ad esempio le automobili andrebbero piuttosto chiamate "auto immobili" perché gran parte del tempo se ne stanno ferme per strada intasando la circolazione e trasformando tutti gli spazi pubblici in un grande parcheggio. Per evitare questi assurdi dobbiamo potenziare i servizi pubblici, inventarci forme condivise di possesso di beni a livello di condominio, forzare le imprese a offrirci servizi più che prodotti. In fondo non abbiamo bisogno di possedere la lavatrice, l'automobile, o i libri, ma di soddisfare il bisogno di pulizia, di mobilità, di lettura. Co-housing, car- sharing, car-pooling, sono esempi concreti che cambiare è possibile e conveniente.

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